“Come riportato dalla rivista il Mulino.”
Sempre più spesso l’università pubblica italiana viene raccontata come un sistema malavitoso, dove il merito soccombe di fronte a favoritismi e concorsi pilotati. Giovani ricercatori costretti al silenzio o all’espatrio: è questa l’immagine che alcuni media, tra cui la Repubblica, ripropongono con forza.
Questo genere giornalistico non è nuovo. Dopo il filone della “casta”, nato per denunciare i privilegi della politica, il format si è esteso a molte altre categorie. Una narrazione che, col tempo, ha perso approfondimento e rigore, trasformandosi in cliché.
I numeri: 191 su 57 mila
L’ultima inchiesta di Repubblica cita 191 docenti indagati per irregolarità nei concorsi. Una cifra che, rapportata ai 57 mila accademici italiani, rappresenta lo 0,33%.
Un dato che suscita una domanda: è davvero corretto descrivere l’intero sistema universitario come corrotto?
Ogni episodio di malaffare va denunciato e perseguito. Ma generalizzare appare scorretto. Per fare un paragone, nel 2017 in Italia i condannati erano lo 0,34% della popolazione. Nessuno però si sognerebbe di definire tutti gli italiani delinquenti.
Le interpretazioni forzate
Tra le tesi più controverse c’è quella che collega il calo delle immatricolazioni universitarie alla corruzione accademica. Secondo l’articolo, gli studenti avrebbero perso fiducia a causa delle inchieste giudiziarie.
Una spiegazione semplicistica: atenei come Milano e Torino stanno conducendo studi per capire le reali cause del calo, legate anche ai mutamenti post-pandemia. Ridurre tutto alla “mala università” appare un salto logico poco fondato.
Le vere priorità
Alcune indagini sui concorsi restano preoccupanti e la magistratura deve andare fino in fondo. Allo stesso tempo, l’università italiana deve interrogarsi sul proprio sistema di reclutamento, a oltre dieci anni dall’ultima riforma.
Serve riflessione, non campagne scandalistiche. Queste ultime generano reazioni difensive tra gli accademici, alimentano indignazione pubblica e rischiano di spingere verso provvedimenti affrettati e poco efficaci.
Ombre e luci del sistema
Il quadro dell’università italiana non è solo negativo. I corsi e gli insegnamenti vengono valutati dagli studenti e monitorati dall’Anvur. Negli ultimi anni è migliorata la trasparenza nei concorsi, soprattutto per i ricercatori a tempo determinato.
Inoltre, misure recenti hanno favorito il rientro dei “cervelli in fuga”. Il 30% dei finanziamenti agli atenei dipende dalla qualità della ricerca e della didattica, creando un meccanismo di premialità che disincentiva pratiche opache. A ciò si aggiungono le nuove risorse del Pnrr per la ricerca.
Il silenzio delle istituzioni
Colpisce l’assenza di una voce ufficiale da parte delle istituzioni universitarie. La ministra, la Crui e il Cun non hanno replicato con forza a queste campagne mediatiche.
Eppure la rappresentazione dell’università come sistema corrotto rischia di minare la fiducia pubblica e il ruolo stesso dell’istruzione superiore. Per questo, conclude l’autore, è urgente una presa di posizione chiara e documentata da parte dei vertici accademici.
Leggi l’articolo completo sulla rivista il Mulino: La rivista il Mulino: Giù le penne dall’università pubblica
Marco
Condivido pienamente: non si può criminalizzare tutta l’università per pochi casi isolati. Servono dati e non campagne scandalistiche.
Elena
Va bene difendere l’università, ma non possiamo negare che i concorsi truccati esistono e danneggiano i giovani ricercatori.
Giuseppe
Articolo interessante. I numeri parlano chiaro: 191 indagati su 57 mila accademici non giustificano generalizzazioni così pesanti.
Francesca
La vera domanda è perché il Ministero e la Crui restino in silenzio. Servirebbe una presa di posizione ufficiale.
Alessandro
Ho vissuto l’esperienza di un concorso poco trasparente. Quindi sì, le campagne mediatiche esagerano, ma qualche problema reale c’è.
Chiara
Finalmente qualcuno porta equilibrio nel dibattito. L’università ha difetti, ma è anche una risorsa fondamentale per il Paese.