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Università telematiche, il boom che costa caro alla qualità: un docente per 385 studenti

Universitas Blog | Università telematiche, il boom che costa caro alla qualità: un docente per 385 studenti

“Secondo quanto riportato dal quotidiano L’Espresso”

Un business dietro il “diritto allo studio”

Negli ultimi dieci anni il sistema universitario italiano è cambiato profondamente. Con la scusa di garantire il diritto allo studio, una parte consistente della formazione è finita nelle mani dei privati. Il risultato è un boom di iscrizioni, ma anche un calo evidente nella qualità della didattica.

Diverse inchieste — da Repubblica con “La fabbrica delle lauree facili” fino a Report con “Il pezzo di carta” — hanno mostrato come il fenomeno sia ormai strutturale. Anche L’Espresso ha analizzato dati e documenti che rivelano l’ascesa rapida e poco controllata delle università telematiche in Italia.

Numeri in crescita vertiginosa

Dal 2011/12 al 2021/22 gli iscritti alle università italiane sono aumentati di oltre 182 mila unità. Tuttavia, le università tradizionali hanno perso circa 19 mila studenti, mentre quelle telematiche sono esplose: +410% di immatricolazioni, con 224 mila iscritti contro i 44 mila di dieci anni prima.

Anche l’offerta formativa è raddoppiata. Le università online si concentrano su aree economiche, giuridiche, sociali e STEM. Durante la pandemia, mentre gli atenei pubblici cercavano di riportare la didattica in presenza, le telematiche hanno attratto migliaia di nuovi studenti.

Il rettore di Bologna, Giovanni Molari, ha ricordato che “l’università non è solo didattica, ma anche laboratori, biblioteche e relazioni umane”. Un concetto che il modello digitale sembra ignorare.

Undici atenei, un solo obiettivo: crescere

Oggi circa il 12% degli universitari italiani studia in uno degli undici atenei telematici riconosciuti dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Tra questi spiccano eCampus, fondata da Francesco Polidori (già proprietario di Cepu); la Niccolò Cusano, legata al sindaco di Terni Stefano Bandecchi; e il gruppo Multiversity, che controlla Pegaso, Mercatorum e San Raffaele, gestito dal fondo britannico CVC Capital Partners.

Dietro questi nomi si muovono interessi economici e politici enormi. Ma c’è un problema evidente: la mancanza di docenti. Nelle università tradizionali c’è un professore ogni 28 studenti. Nelle telematiche, invece, uno ogni 385.

Docenti pochi, studenti troppi

Questo squilibrio non danneggia solo la qualità delle lezioni. Riduce anche il contatto umano e la possibilità di seguire gli studenti in modo personalizzato.

Secondo il rapporto “Il piano inclinato” della Flc Cgil, il sistema universitario italiano rischia di diventare ostaggio delle logiche di profitto. La segretaria Gianna Fracassi denuncia: «Mancano controlli reali e si crea dumping al ribasso nelle condizioni di lavoro. Non si può restare indifferenti».

Valutazioni e controlli insufficienti

L’Anvur conferma il divario qualitativo. Solo Uninettuno ha ricevuto una valutazione “pienamente soddisfacente”. La maggior parte degli atenei telematici si ferma a “soddisfacente”, mentre due hanno ottenuto un giudizio “condizionato”. Le università tradizionali, invece, registrano risultati molto più alti.

Il presidente dell’Anvur, Antonio Felice Uricchio, spiega che i criteri di valutazione sono uguali per tutti: “Analizziamo didattica, ricerca, gestione e sostenibilità economica. È un processo rigoroso e trasparente”. Nonostante le richieste, nessuna nuova università telematica è stata approvata negli ultimi anni.

Il decreto che può cambiare tutto

Il decreto 1154 del 2021, firmato dall’ex ministra Maria Cristina Messa, impone entro il 2024 di allineare il rapporto docenti-studenti delle telematiche a quello delle università tradizionali. La Lega ha tentato di rinviare la scadenza, ma la ministra Anna Maria Bernini ha respinto l’emendamento.

Curiosamente, alcuni di questi atenei avevano finanziato il partito di Matteo Salvini. In cambio del rinvio mancato, la ministra ha creato un tavolo tecnico “per garantire la qualità dell’offerta formativa a tutti”.

Diritto allo studio o affare privato?

Il rischio è che il diritto allo studio venga usato come copertura per un grande business. Garantire accesso all’università non significa costringere gli studenti con redditi bassi a scegliere corsi online.

Come ricorda ancora Uricchio, «il diritto allo studio dipende da servizi reali: alloggi, trasporti e borse di studio. Non dallo strumento usato per insegnare».

Le università telematiche non dovrebbero essere la scorciatoia per aumentare i laureati o per ridurre i costi pubblici. Se lo diventano, l’università perde la sua missione e si trasforma in un mercato. Un affare milionario, ma non per chi studia.

Leggi l’articolo completo sul quotidiano L’Espresso: Il grande affare delle università telematiche: milioni di iscritti a spese della qualità | L’Espresso

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